lunedì 29 giugno 2009

In dialetto, Loi e Granatiero


Dare voce alla memoria

Due titoli in dialetto: di Franco Loi, che dopo più di vent'anni torna da Einaudi con Isman (pp. 122, € 10,50) e di Francesco Granatiero che a otto anni dal suo precedente più importante ("Énece", ossia Nidiandolo) pubblica il suo nuovo libro, Scùerzele (o "Spoglia"), per le romane Edizioni Cofine (pp. 112, € 9,00), con prefazione di Donato Valli e postfazione di Achille Serrao. Due poeti diversissimi, eppure paragonabili. Loi aperto al vento di un milanese d'istinto e d'invenzione, Granatiero imbozzolato nel filo di un dialetto (come quello garganico di Mattinata), esplorato anche per grammatica. Il primo rabdomantico e luminosamente profetico (qui più che mai in ascolto del divino), il secondo più legato (salvo eccezioni) agli statuti di un'arte accudita con più laico e minuzioso respiro. Tutt'e due presi dalla comune fascinazione o necessità di un dire che viene dalla "memoria" (e dalla "paura") di quella "zona d'ombra" in cui agiscono i sottolivelli della coscienza. Granatiero che pronuncia: "Na vòuce annatavanne,/ affunne, me strapòrte,/ na vòuce o nu cummanne" (Una voce altrove, profonda, mi trasporta, una voce o un comando). Loi che annuncia nel suo dantesco e interiore "dittare": "Dent la parola persa mi me perdi/ (...)/ e se mi parli su no chi l'è a parlà" (Dentro la parola persa io mi perdo, e se io parlo non so chi è a parlare).


GIOVANNI TESIO

"La Stampa, TuttoLibri", 9 marzo 2002

Nessun commento:

Posta un commento